IERI-Sevilla

Las relaciones laborales en Alemania

Publicado el 15/05/13 a las 16:32h

 

 

Il ruolo del diritto del lavoro e

della sicurezza sociale

nella crisi economica

L’esperienza tedesca

 

 

Maximilian Fuchs

Relazione al Convegno AIDLASS

Bologna 16/17 maggio 2013

 

 

I. Introduzione

 

Il filo conduttore di molti studi recenti dei giuslavoristi europei consiste nell’instaurazione di un nesso causale fra la crisi finanziaria globale e la necessità di adottare riforme del diritto del lavoro. Si afferma, infatti, frequentemente che, per risanare le economie in crisi, i governi ed i parlamenti sono obbligati ad adottare modifiche, anche rilevanti ed a scapito dei lavoratori, del diritto del lavoro del singolo paese preso di volta in volta in considerazione.

 

Ora, se ci chiediamo se anche la Germania abbia agito in tal direzione, la risposta è senza ombra di dubbio negativa. Negli anni 2008-2011, l’Arbeitsrecht tedesco non ha cambiato rotta. Anzi le poche riforme che sono state fatte – come vedremo – sono sostanzialmente favorevoli ai lavoratori.

 

Se ci interroghiamo sul perché di questi sviluppi, che sono difformi dall’esperienza di altri paesi, la risposta è abbastanza semplice: abbiamo fatto la riforma con dieci anni di anticipo, esattamente nel 2002, elaborando dapprima l’impostazione teorica della riforma stessa e poi realizzandola negli anni successivi. Perché la riforma proprio in quel periodo precedente alla crisi finanziaria? Due sono i motivi che hanno determinato il cambio di rotta: il primo è di natura economica, il secondo di natura politica.

 

Le analisi, direi unanimi, vedevano l’economia tedesca in piena crisi: crescita economica in calo, deficit pubblico enorme, alto tasso di disoccupazione, costo del lavoro troppo alto, peggioramento della posizione tedesca nel quadro della concorrenza internazionale.

 

Così è nata una forte pressione sulla politica, sul governo dei socialdemocratici e verdi sotto la presidenza del cancelliere Schröder. In vista delle elezioni dell’autunno del 2002 Schröder sapeva che senza una manovra decisiva i giorni del suo governo sarebbero stati contati. Incaricò così il capo personale della Volkswagen, Peter Hartz a presiedere una commissione che aveva il compito di predisporre un rapporto sui profili della politica sociale, ed in particolare del mercato del lavoro. Che era necessario riformare. Dopo meno di sei mesi, cioè ancora prima delle elezioni, la commissione Hartz presentò un ampio rapporto, intitolato “Servizi moderni al mercato del lavoro”. Questo documento non solo salvò il governo Schröder di fronte all’elettorato, ma è addirittura diventato la “bibbia” della futura politica sociale del nostro paese e ciò sostanzialmente fino ad oggi.

 

Sulla base di questo rapporto, Schröder, quando fu chiamato a presiedere il nuovo governo il 14 marzo 2003, resa nota la cosiddetta Agenda 2010, un termine che è diventato fino ai giorni nostri, il punto di riferimento, attorno a cui girava, e gira ancora oggi, la discussione politica in Germania. Guardando indietro, a dieci anni di distanza a questa dichiarazione del governo del 14 marzo 2003, in cui Schröder formulava, senza alcun timore, un appello al “coraggio per il cambiamento” ed annunciava interventi nell’ambito del welfare sociale tedesco, si può condividere il giudizio di un settimanale economico secondo il quale si trattò di una vera e propria rivoluzione.

 

Nel proporvi ora una breve analisi della riforma, mi concentrerò sui pilastri centrali della nuova politica sociale formulata dalla commissione Hartz. Volendo individuare la direzione economica che l’Agenda aveva di mira, si potrebbe dire che la riforma intendeva stimolare gli imprenditori ad  aumentare l’occupazione a fronte una diminuzione significativa del costo del lavoro. Il costo del lavoro per gli imprenditori deriva dal diritto del lavoro, ma anche dal diritto della sicurezza sociale. Per questo motivo la commissione Hartz tentò anzitutto di capire quali fossero i punti strategici di entrambe queste materie per raggiungere l’obiettivo economico prefissato.

 

 

II. Riforme del diritto del lavoro

 

Il legislatore ha attuato le proposte del rapporto Hartz tramite quattro leggi, la prima delle quali risale all’anno 2003. Per documentare, che si volevano creare discipline che si ispiravano alla lettera e allo spirito del rapporto Hartz, queste leggi portano tute lo stesso titolo del rapporto Hartz stesso, cioè: “ Legge per servizi moderni sul mercato del lavoro “.

 

 

1. La legislazione sul contratto di lavoro a tempo determinato

 

Abbiamo attuato la direttiva Ce sui contratti a tempo determinato nel 2001. Fondamentalmente, la legge attuativa richiede, per la legittimità dell’apposizione di un termine al contratto di lavoro, la sussistenza di una ragione oggettiva. La legge fa un elenco non tassativo di alcune di queste ragioni; prevede ad esempio che il termine è legittimo se il lavoratore viene impiegato in sostituzione di un altro lavoratore con diritto alla conservazione del posto. La legge ammette per altro la possibilità di apporre il termine anche senza che sussista una ragione giustificatrice di carattere oggettivo, purché il rapporto abbia una durata inferiore a due anni. Fino al raggiungimento di tale durata massima complessiva di due anni è ammissibile anche la proroga per un massimo di tre volte di un contratto di lavoro a tempo determinato.

 

La legislazione Hartz ha esteso questa disciplina del 2001 aggiungendo altre due ipotesi in cui non è richiesta la sussistenza di una causale. La prima ipotesi in cui pure non è necessaria la sussistenza di una ragione oggettiva riguarda il caso delle imprese di nuova costituzione: in questa ipotesi, l’apposizione del termine può raggiungere un massimo di quattro anni, in coincidenza con i primi quattro anni di vita dell’impresa stessa. La seconda ipotesi concerne, invece, l’assunzione di persone di età avanzata. Nel tentativo di migliorare la situazione di questo gruppo di persone il legislatore ha sancito la possibilità di assumere a termine senza la necessità di una ragione oggettiva coloro che hanno compiuto i 52 anni di età. Sulla sorta di questa seconda ipotesi è a tutti nota la sentenza Mangold, in cui la Corte di Giustizia ha dichiarato tale disposizione incompatibile con il diritto comunitario.

 

2. Somministrazione di lavoro

 

Il rapporto Hartz poneva particolarmente l’accento sulla necessità di promuovere il lavoro somministrato. Tralasciando il fatto che Hartz intendeva realizzare le sue idee facendo ricorso ad imprese fornitrici specializzate tramite cosiddette agenzie di servizi personali, ciò che qui importa è che Hartz propose di ridurre gli ostacoli esistenti per il ricorso al lavoro somministrato.

 

La nuova legge del 2003 abolisce tutte le restrizioni normative previgenti (con l’unica eccezione del settore edile in cui le ipotesi di lavoro somministrato rimangono molto ristrette). Il contratto fra i lavoratori e l’Agenzia interinale può essere di natura indeterminata o determinata ed in questo secondo caso si applica la legge sul contratto a tempo determinato. Inoltre, non viene più considerata come somministrazione la fornitura di lavoro fra due imprese dello stesso gruppo. Sulla base di questa regola gruppi di imprese hanno creato imprese nel loro ambito con l’unico scopo di assumere personale e di distaccarlo ad un’altra impresa dello stesso gruppo, ovviamente a condizioni più favorevoli di quelle valide nell’impresa utilizzatrice.

 

La nuova legge segue le linee tracciate da una proposta direttiva Ce sul lavoro interinale presentata nel 2003. Ed in linea con tale premessa prevede il principio della parità di trattamento in favore dei lavoratori somministrati. Allo stesso tempo però la legge recepisce dalla proposta della direttiva la possibilità per i contratti collettivi di derogare a questo principio, peraltro, contrariamente a quanto previsto all’articolo 5 della proposta di direttiva, ciò può aver luogo senza limiti. Questa disposizione ha dato avviò in Germania ad una storia, per così dire, “pietosa” di contrattazione collettiva. Un sindacato, dal nome cristiano, che peraltro non aveva assunto alcuna rilevanza fino ad allora, scoprì il settore del lavoro somministrato come proprio campo d’azione. Esso ha così concluso una serie di contratti collettivi con imprese fornitrici che derogavano al principio della parità di trattamento prevedendo per di più livelli molto bassi di salario e di condizioni di lavoro. Ovviamente le Agenzie interinali e le loro associazioni erano ben disposte a concludere contratti collettivi con questi contenuti facendo inoltre ricorso ad una disposizione della nuova legge che prevedeva l’incorporazione del contratto collettivo, interamente o in parte, nel contratto individuale. Ciò era previsto per evitare che il contratto collettivo non si applicasse per la solita mancanza dell’iscrizione dei lavoratori  somministrati ad un sindacato.

 

Ovviamente gli altri sindacati, quelli organizzati nella confederazione DGB, hanno guardato a questi sviluppi – per cui un sindacato privo di rappresentatività si era impadronito del settore interinale- con molta preoccupazione. Alla resa dei conti anche loro sono stati però costretti a concludere contratti collettivi che derogavano al principio della parità di trattamento, perché gli imprenditori, facendo leva sulla possibilità prevista dalla legge, non erano disposti ad accettare il rispetto di questo principio. Di conseguenza, come ha constatato un autore nel 2008: in Germania non sussiste neppure un rapporto di lavoro nel settore del lavoro somministrato in cui venga rispettato il principio della parità di trattamento.

 

3. L’estensione dell’ipotesi dei cosiddetti lavori minori

 

Alcuni di voi forse si ricordano della sentenza Nolte della Corte di Giustizia. Una corte tedesca aveva rinviato una domanda alla corte di Lussemburgo per far sindacare la compatibilità di una disposizione del codice della sicurezza sociale che prevedeva l’esenzione dall’assicurazione obbligatoria contro la malattia e contro la vecchiaia. La disposizione in questione riguardava lavoratori che svolgevano un lavoro minore, intendendo per tale un lavoro che, da un lato, viene regolarmente esercitato secondo un orario settimanale inferiore alle 15 ore e, dall’altro, in cui il salario mensile non supera di norma un certo limite retributivo che viene adeguato annualmente. Nel periodo in cui si sviluppò il caso Nolte, il limite ammontava a circa 500 DM (circa 250 euro). L’attrice reclamava una discriminazione sessuale, perché le persone occupate sulla base di questa tipologia contrattuale erano in maggioranza donne. La Corte di Giustizia ha dichiarato la disposizione in oggetto compatibile con il diritto comunitario accettando la giustificazione sostenuta dal governo tedesco secondo cui la tipologia serviva a disincentivare il lavoro sommerso.

 

Quando il ricorso a questa tipologia contrattuale ha iniziato a riguardare la quota molto ragguardevole di 5 milioni di occupati alla fine degli anni Novanta, il nostro legislatore ha tentato di disincentivare l’uso di lavori minori chiedendo alle imprese il pagamento di somme forfettarie alle casse per l’assicurazione sanitaria e agli istituti pensionistici. La commissione Hartz voleva allargare ulteriormente la possibilità ricorrere ai cosiddetti lavori minori. Essa ha così proposto di elevare il limite retributivo a 500 euro. La legge attuativa di questa proposta ha però fissato il limite a 400 euro. Vedremo se questa tipologia contrattuale giocherà un ruolo rilevante, sebbene ovviamente discutibile, nel mercato del lavoro tedesco.

 

 

III. Riforme degli ammortizzatori sociali

 

1. Il sistema previgente

 

Nel sistema tedesco il sistema della tutela contro la disoccupazione si basava, tradizionalmente, su due pilastri:

 

a) L’indennità di disoccupazione

 

Il diritto all’indennità di disoccupazione era condizionato alla maturazione di una certa anzianità contributiva. Il diritto all’indennità di disoccupazione sorgeva in capo a chi è stato titolare di un rapporto di lavoro di dodici mesi nel biennio precedente al giorno in cui sussistevano tutti i requisiti necessari all’erogazione dell’indennità di disoccupazione stessa.

 

Il legislatore stabiliva poi che l’ammontare dell’indennità di disoccupazione fosse determinato in percentuale della retribuzione da prendere come base di calcolo dell’indennità di disoccupazione stessa. Grosso modo si può dire che questa retribuzione era pari, più o meno, alla retribuzione netta percepita dal disoccupato nel periodo precedente alla cessazione del rapporto di lavoro. L’ammontare dell’indennità di disoccupazione corrispondeva al 60% della retribuzione così individuata, e veniva elevata al 67% di detta retribuzione per i familiari a carico del disoccupato.

 

Quanto alla durata dell’erogazione dell’indennità di disoccupazione erano decisivi due criteri:

–  la durata dei rapporti di lavoro nel triennio precedente all’inizio della disoccupazione e

–  l’età del disoccupato al sorgere del diritto all’indennità.

 

 

b) L’assegno ai disoccupati

 

Dopo la fine dell’erogazione dell’indennità di disoccupazione sorgeva il diritto ad un ulteriore trattamento di disoccupazione: l’assegno ai disoccupati (Arbeitslosenhilfe). Il livello di questa prestazione era molto più basso dell’indennità di disoccupazione, ammontava al 53% del precedente reddito netto; esso aumentava fino al 57% qualora il disoccupato avesse avuto a carico almeno un figlio. Inoltre – e in questo consiste la differenza più importante rispetto all’indennità di disoccupazione – tale assegno richiedeva che il disoccupato versasse in una comprovata situazione di bisogno. Il pagamento della prestazione si svolgeva senza limite temporale.

 

2. Il nuovo sistema

 

La filosofia che ha portato la commissione Hartz alla formulazione delle proposte per la modifica allo schema attuale della protezione contra la disoccupazione è stata battezzata con la parola d’ordine “fördern und fordern”. Un gioco di parole che tradotto in italiano suona in modo invero poco poetico: promuovere e chiedere. In realtà, si tratta di una concezione che vuole, da un lato, offrire servizi effettivi di ritorno dei disoccupati allo stato di occupazione e, dall’altro lato, richiede, rispetto al passato, uno sforzo più intenso alla persona disoccupata. Chi non segue queste regole del gioco è punito con sanzioni anche gravi, come la perdita o il ritardato pagamento di una prestazione economica.

La realizzazione di questa nuova impostazione ha luogo su due livelli. L’erogazione dell’indennità di disoccupazione è condizionata dalla disponibilità del richiedente o a svolgere ogni lavoro definito dalla legge come “ragionevolmente accettabile” oppure a partecipare a misure di addestramento. L’agenzia del lavoro può proporre al disoccupato un posto di lavoro che non deve necessariamente conformarsi alle attitudini del disoccupato stesso, oppure alle attività svolte dallo stesso precedentemente oppure ancora alla formazione che egli ha acquisito.

Accanto a questo aggravio dei requisiti dell’indennità di disoccupazione, la novità più rilevante della riforma consiste nell’abolizione dell’assegno ai disoccupati e nella creazione, in sua sostituzione, di una nuova prestazione economica che è stata costruita secondo i parametri dell’assistenza sociale. Questa riforma risponde alle frequenti critiche secondo le quali molti disoccupati privilegiavano l’assegno di disoccupazione, sebbene esso fosse tutt’altro che elevato, rispetto ad un lavoro caratterizzato da un salario di basso livello. In altre parole, la riduzione ulteriore della prestazione ai disoccupati mira a costringere i disoccupati ad accettare anche lavori a basso reddito. I requisiti della nuova prestazione denominata “indennità di disoccupazione II” sono:

–  età compresa tra i 50 e i 65 anni;

–  capacità di svolgere un’attività lavorativa (minimo 3 ore giornaliere);

–  uno stato di bisogno di un sostegno finanziario;

quest’ultimo criterio è quello dell’assistenza sociale. Bisognoso di tutela è chi non è capace di provvedere alle proprie fondamentali esigenze di vita mediante lo svolgimento di un lavoro accettabile o mediante l’utilizzo di altri redditi o mezzi patrimoniali o ancora attraverso il sostegno di altri soggetti cui la legge impone un obbligo di mantenimento nei confronti della persona bisognosa.

L’ammontare della prestazione è al momento di 382 euro al mese. A questa somma si aggiungono i costi dell’abitazione, con la riserva però che questi non siano sproporzionati. Sull’impatto di questo vero e proprio smantellamento del sistema precedente parlerò più tardi.

 

3. Kurzarbeit (orario ridotto del lavoro)

 

Prima di concentrarmi sugli effetti delle riforme tedesche, è opportuno che mi soffermi su uno strumento molto importante per fronteggiare la crisi o, meglio, per il management della crisi. A tal fine nel 2009 è stato rivitalizzata e flessibilizzata la cosiddetta Kurzarbeit (il lavoro ad orario ridotto). Si tratta di uno strumento che era già stato introdotto nel 1957 ma che era poi stato utilizzato molto poco e che ha lo scopo di mitigare gli effetti che una situazione economicamente difficile comporta per un’impresa con particolare riguardo alle situazioni in cui sussiste la minaccia di ricorrere a licenziamenti collettivi per la mancanza di commesse all’impresa stessa. La Kurzarbeit rappresenta un istituto complesso che è composto da elementi: contrattuali, previdenziali e relativi alla codeterminazione aziendale.

In estrema sintesi, lo schema funziona in questo modo: il datore di lavoro conclude un accordo con il comitato aziendale stabilendo una riduzione dell’orario di lavoro in corrispondenza con il livello delle commissioni. Nelle aziende senza comitato aziendale il datore di lavoro effettua una modifica temporanea dell’orario di lavoro con il consenso dei lavoratori. Se non si realizza una modifica consensuale, il datore di lavoro può adottare un recesso modificativo. Di conseguenza, l’orario ridotto porta con sé il pagamento di un salario ridotto. A rimediare alla riduzione del reddito interviene l’assicurazione di disoccupazione con la cosiddetta “indennità di orario ridotto”. Questa prestazione ammonta al 67% (in caso di membri familiari mantenuti) e viceversa al 60% della differenza fra il salario ridotto e il salario pagato previo all’entrata in vigore dell’orario ridotto. La durata di corresponsione della prestazione è, di regola, di sei mesi. Nel 2009 l’istituto è stato flessibilizzato prevedendo che il Ministero del Lavoro possa autorizzare ad estendere l’erogazione dell’indennità fino a 24 mesi; il che è concretamente avvenuto nel 2009 nel periodo più acuto della crisi.

È opinione comune che l’istituto testé descritto si è mostrato uno strumento miracoloso nel management della crisi. Come vedremo è stato un rimedio molto importante contro la minaccia di disoccupazione.

 

IV. Gli effetti delle riforme

 

Nel 2005, al momento dell’entrata in vigore della riforma Hartz riguardante gli ammortizzatori sociali, in Germania si registravano quasi 5 milioni di disoccupati. Nel 2006 il numero era sceso a  4,5 milioni, nel 2007 a 3,7 milioni; nel 2008 a 3,2 milioni; un leggero aumento si è registrato nel 2009 in cui si è arrivati alla cifra di 3,4 milioni; è poi seguita una diminuzione nel 2010 fino a 3,2 milioni; alla fine del 2011 si è giunti a 2,9 milioni. Nel periodo tra il 2007 e il 2011 è anche aumentato – da 26 a 28 milioni – il numero degli occupati con obbligo di assicurazione sociale.

Se c’è stato nel 2009 un leggero aumento della disoccupazione di circa 200.000 unità, ciò è legato al fatto che, soprattutto nel settore dell’industria automobilistica, sono stati licenziati molte migliaia di lavoratori somministrati.

Allo stesso tempo però sono stati evidenti gli effetti positivi dell’introduzione del lavoro ad orario ridotto (Kurzarbeit) che ha impedito l’aumento della disoccupazione. Mentre all’inizio del 2007 solo poco più di 16.000 lavoratori erano occupati con la formula della Kurzarbeit, nel 2008 però il numero saliva fino a 100.000 ed è poi esploso fino a 1,1 milioni nel 2009,  nel 2010 esso è sceso a 500.000; per arrivare, infine, nel 2011 a 150.000. Questi numeri misurano la grande efficacia di tale strumento composto da elementi di diritto del lavoro e della sicurezza sociale.

Così si spiega anche il perché il tasso di disoccupazione sia diminuito, se si trascura un breve aumento nel 2009, persino durante la crisi finanziaria. Inoltre il meccanismo della Kurzarbeit ha permesso alle imprese di mantenere l’organico, almeno la maggior parte di esso e, soprattutto, i lavoratori più qualificati che sono risultati indispensabili al buon andamento dell’azienda nel momento in cui la congiuntura è migliorata.

Questi numeri forniscono una prova evidente di come le riforme realizzate abbiano avuto un efficace risultato sul mercato del lavoro. Il cambiamento dell’assicurazione contro la disoccupazione ha sicuramente condizionato il comportamento individuale delle persone coinvolte. Queste ultime sono state disposte anche ad accettare posti di lavoro poco gradevoli pur di non ricevere prestazioni economiche secondo le regole dell’assistenza sociale. Dall’altra parte gli imprenditori hanno aumentato in modo considerevole l’offerta di posti di lavoro in vista di un favorevole sviluppo del cuneo fiscale. Così i contributi per l’assicurazione contro la disoccupazione, che vengono divisi tra datori di lavoro e lavoratori, si sono abbassati dal 6,8% nel 2005 al 3,9% nel 2007, passando al 3,3% nel 2008 per arrivare alla fine al 2,8% nel 2009. Quindi anche per queste ragioni si spiegano gli sviluppi positivi registrati nell’occupazione nel bel mezzo della generale crisi economica globale.

 

V. La valutazione delle riforme

 

Se si leggessero i discorsi che negli ultimi anni del primo decennio del nuovo millennio sono stati tenuti da parte dei datori di lavoro in onore dell’ex Cancelliere Schröder e si ascoltassero le voci dei rappresentanti delle associazioni industriali e dell’artigianato, in occasione della retrospettiva sui dieci anni dell’ “Agenda 2010“, si riconoscerebbe un’unanime e straordinaria lode a questa riforma. Se invece, al contrario, si analizzassero le opinioni sindacali sullo stesso tema, il risultato sarebbe completamente diverso.

Per farsi un’idea di queste opinioni divergenti, è necessaria una breve analisi del mercato del lavoro, così come esso si è sviluppato durante gli anni della crisi e anche dopo.

 

 

1. La struttura del mercato del lavoro

 

Per quanto riguarda le tipologie di lavoro precario, il mercato del lavoro presente i seguenti dati.

 

Iniziando dal lavoro part-time, esso è aumentato dal 2007 al 2011 da 4,5 milioni a 5,7 milioni. Gli esperti stimano una quota del 25% di lavoro part-time involontario.

 

Il numero degli occupati a tempo determinato è aumentato da 4,9 milioni a 5,1 milioni dal 2007 al 2011. Ancora più forte è stata la crescita del lavoro somministrato che nel 2003 era ancora fermo a 328.000 unità. Ma nel 2007 il numero di questi lavoratori ammontava già a 721.000, con una leggera diminuzione nel 2008 a 674.000 e nel 2009 a 632.000, per poi registrare un evidente aumento sul livello pre-crisi fino a 824.000 nel 2010 e a 872.000 nel 2011.

A questi numeri dell’occupazione precaria si deve aggiungere infine il numero dei lavori minori che hanno superato, nel frattempo, la soglia dei 7 milioni in modo che ora l’invocazione di una riforma di questa tipologia lavorativa è diventato abbastanza forte.

I precedenti dati mostrano in modo chiaro come il mercato del lavoro risulti abbastanza frammentato.

 

2. Il livello dei salari

 

Una valutazione dello sviluppo del mercato del lavoro deve prendere in considerazione anche il livello dei salari e qui si registrano chiari riscontri che lo sviluppo descritto ha creato tanti settori dell’economia chiamati “a basso livello retributivo”. Questi settori sono caratterizzati da salari che ammontano a meno di 2/3 dello stipendio medio dei lavoratori che hanno l’obbligo dell’assicurazione sociale.

Esempi particolarmente significativi sono quelli dei salari molto bassi, 400 euro, derivanti da lavori minori. Altrettanto negativi appaiono i redditi dei lavoratori interinali. Da un totale di 632.000 lavoratori interinali nel 2009, solo la metà aveva un lavoro a tempo pieno e di questi il 72% guadagnavano meno di 2/3 dello stipendio medio garantito dalle imprese utilizzatrici.

Volendo riassumere il tutto, occorre sottolineare che un gran numero di lavoratori non riceve un salario sufficiente alle esigenze di vita. Per questo motivo da molti anni circa 1,4 milioni di questi lavoratori mal pagati riscuotono l’indennità di disoccupazione II per integrare il reddito dal lavoro.

 

3. L’introduzione di salari minimi

 

Data questa situazione si è sviluppata già nel corso della crisi finanziaria, una discussione politica, in cui è stata espressa la volontà, condivisa da una larga maggioranza parlamentare, di rimediare a quello che è stato definito un problema di giustizia sociale. Si è discusso sul fatto se una retribuzione derivante da un lavoro a tempo pieno debba garantire o no quel minimo necessario a soddisfare le esigenze di vita.

Sulla base di questo principio il legislatore ha creato due nuovi binari nel diritto del lavoro o meglio ha trasformato due esistenti binari tronchi in due binari veri e propri.

Nel 1996, attuando la direttiva relativa al distacco dei lavoratori è stato introdotto il salario minimo per il settore edile per le attività dei lavoratori stranieri svolte nell’ambito di una prestazione di servizi. La legge attuativa ha previsto una specifica tipologia di contratto collettivo volta a disciplinare le retribuzioni minime obbligatorie per tutti i datori di lavoro, sia stranieri che nazionali, a condizione che il contratto collettivo sia munito dell’effetto “erga omnes”. Questo effetto dipende da una cosiddetta dichiarazione d’efficacia “erga omnes”, pronunciata dal Ministero del Lavoro Federale con il consenso di una commissione e su richiesta di una delle parti stipulanti il contratto collettivo che può aver luogo qualora i datori di lavoro vincolati dal contratto collettivo occupino non meno del 50% dei lavoratori che ricadono nell’ambito del contratto preso in considerazione. Con questo principio la legge ha voluto rispettare l’autonomia collettiva. Senza l’iniziativa e l’opera delle associazioni sindacali e datoriali non può esserci, infatti, un salario minimo.

Co una modifica alla legge nel 2009 si è portata avanti tale impostazione pur aggiungendovi qualche novità. La prima novità consiste nell’estensione significativa dei settori coinvolti. Al settore edile hanno fatto seguito i servizi di pulizia, quello dei copritetto, degli imbianchini e dei verniciatori, dei servizi di sicurezza, delle lavanderie, dei servizi postali, dell’assistenza e  della cura e anche della formazione professionale iniziale e due mesi fa dei barbieri. Non sorprende affatto che la legge si concentri su questi settori. Infatti sono tutti settori di servizi in cui – come è noto – i sindacati sono deboli per mancanza di un numero adeguato di iscritti e, di conseguenza, il livello dei salari è molto basso. La seconda novità concerne l’istituto del salario minimo sul quale mi sono soffermato precedentemente. Nel momento in cui non si raggiunge il sopra menzionato quorum del 50% dei lavoratori occupati, il Ministero del Lavoro è autorizzato ad emanare un decreto su richiesta delle parti stipulanti il contratto collettivo. Questa seconda alternativa è stata usata per tutti i settori. Per darvi un idea del livello dei salari minimi stabiliti secondo tale procedura, la retribuzione oraria va da 7,50 a 12,50 €.

Il secondo binario posto nel 2009 è costituito dal ricorso ad una legge del 1952, relativa alla fissazione di condizioni minime di lavoro. Questa legge, e le disposizioni in essa contenute, non sono peraltro mai state utilizzate. Solo le vicissitudini della crisi finanziaria hanno indotto il legislatore nel 2009 ad intervenire rivitalizzando questa legge.

Alla stregua di tale legge, possono essere determinati livelli salariali minimi anche in settori dell’economia in cui datori di lavoro siano vincolati da un contratto collettivo ed abbiano alle proprie dipendenze meno del 50% dei lavoratori occupati nell’ambito degli stessi contratti.

Requisito essenziale per la fissazione di tariffe minime è il perseguimento di tre criteri. Le tariffe minime sono necessarie solo:

a) per la creazione di condizioni di lavoro adeguate

b) per la garanzia di una leale concorrenza

c) per il mantenimento di rapporti di lavoro coperti dalle assicurazioni sociali.

Commissioni speciali composte da rappresentanti dei sindacati e associazioni datoriali decidono sulla sussistenza o meno di questi criteri e propongono le tariffe minime che entrano in vigore nel momento in cui il Governo Federale, su richiesta del Ministero del Lavoro, emana un decreto. Queste tariffe minime salariali sono valide per tutti i datori sia nazionali che stranieri.

 

VI. Conclusioni

 

L’analisi precedente ha dimostrato che le scelte fatte nel campo del diritto del lavoro e della sicurezza sociale hanno avuto un impatto molto positivo sull’andamento dell’economia tedesca. Le misure adottate hanno offerto al management gli strumenti per superare le difficoltà create dalla crisi economica dei primi anni del nuovo millennio. Così quando è arrivata la crisi globale finanziaria a partire dal 2008, l’economia tedesca possedeva già gli strumenti ed i mezzi utili a prevenire ed affrontare gli effetti della crisi finanziaria che gli altri paesi erano meno preparati a fronteggiare. Inoltre l’economia tedesca riusciva ad attutire molti svantaggi apportati dalla crisi che le economie di altri stati membri della UE son stati costretti a subire con maggiore durezza.

Occorre peraltro precisare che, se è vero che nonostante i tempi di crisi sono stati protetti anche gli interessi dei lavoratori, garantendo loro in larga misura i posti di lavoro, i lavoratori stessi hanno però dovuto accettare livelli salariali comparabilmente più bassi e perdite di diritti previdenziali, mentre i datori di lavoro hanno potuto godere di un clima molto favorevole ai loro interessi e realizzare enormi profitti.

Concluso perciò sottolineando che se si vuole evitare una spaccatura pericolosa della società la disuguaglianza economica resta un problema molto serio da risolvere nel futuro prossimo.

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